Santa Barbara, la sacra custode del focolare
Santa Barbara, la sacra custode del focolare
di Hasan Andrea Abou Saida
“Hestia, tu che curi la sacra casa del Signore Apollo, Colui che colpisce da lontano, nella divina Pito, con dolce olio che sempre gocciola dalle tue chiome, vieni ora in questa casa, vieni, Tu che hai una sola mente con Zeus sapientissimo, avvicinati e concedi grazia al mio canto.” (Inno omerico ad Estia)
Proseguendo nell’esplorazione simbolica ed esoterica del culto dei santi, il 4 Dicembre si festeggia Santa Barbara, la martire cristiana del fuoco. Nel cristianesimo popolare viene venerata per i suoi numerosi patronati: è protettrice dei pompieri, artificieri, marinai, artiglieri, genieri, minatori, architetti, muratori, campanari e ombrellai. Le leggende sulla vita della santa sono numerose e presentano molte differenze tra loro, mettendo in dubbio una sua reale esistenza storica: nel 1969 infatti, venne rimossa dal calendario romano generale. La leggenda più popolare narra che Barbara nacque nel 273 d.C. in una città chiamata all’epoca Nicodemia (l’attuale Azmit), un porto in Turchia, per poi trasferirsi attorno al 286 d.C. presso la villa rustica di Scandriglia, in provincia di Rieti. Suo padre, di nome Dioscuro o Dioscoro, di religione pagana e collaboratore dell’imperatore Massimiano Erculeo, fece rinchiudere la figlia in una torre per proteggerla dal mondo esterno e dai suo numerosi pretendenti (ma che ella rifiuta sistematicamente uno ad uno). Inoltre, per evitare che Barbara andasse alle terme pubbliche, il padre fece costruire delle terme private nella torre. Dopo aver visto i progetti di costruzione della torre, Barbara ordinò ai muratori di aggiungere una terza finestra, poiché inizialmente ve ne erano solo due, richiamando la Trinità cristiana. Poco prima di entrare nella torre, inoltre, la giovane si immerse tre volte in una piscina adiacente, battezzandosi da sola. Quando il padre scoprì la nuova fede della figlia, andò dal magistrato romano, di nome Martiniano o Marziano, per denunciarla. Barbara così venne condannata alla decapitazione, e venne deciso che la sentenza venisse eseguita dal padre Dioscuro dopo due giorni di feroci torture. Queste iniziarono con una flagellazione con verghe, che secondo la leggenda si tramutarono in piume di pavone (attributo della santa). I carnefici tentano di torturarla col fuoco, ma le fiamme accese ai suoi fianchi si spengono quasi subito; le vennero poi tagliati i seni, colpita la testa con un martello, e venne fatta sfilare nuda per le strade. Alla fine, suo padre la condusse in cima a una montagna e la decapitò. Sceso dalla montagna, Dioscuro venne incenerito da un fulmine o da un fuoco venuto dal cielo come punizione per l’omicidio della figlia 1.
Analizzando la leggenda e gli attributi conferiti alla santa, vi sono delle corrispondenze simboliche e analogiche con un’antica divinità romana, la Bona Dea. Letteralmente “la dea buona”, era un’antica divinità femminile ritenuta sorella, sposa o figlia di Fauno e chiamata a sua volta anche Fauna, Fanta o Oma. Era ritenuta dai romani la protettrice della fecondità e della prosperità, una Grande Madre laziale il cui nome non poteva essere pronunciato. A lei erano dedicate tutte le arti domestiche e il suo culto era celebrato esclusivamente dalle donne romane 2. La festa dedicata alla dea veniva celebrata nella notte tra il 3 e il 4 Dicembre, lo stesso giorno dedicato a Santa Barbara, e si svolgeva nella casa del console o del pretore: qui riceveva un sacrificio e una libagione dalla moglie del magistrato, dalle matrone e dalle Vestali. La celebrazione era diretta dalle Vestali e nessun uomo doveva essere presente durante la festa all’interno della casa prescelta, che veniva addobbata con tralci di vite e con altre piante e fiori, escluso il mirto. Il tempio della Bona Dea si trovava sotto l’Aventino e anche qui, in un Bosco sacro, le donne e le ragazze celebravano ogni anno i misteri della Bona Dea il primo di maggio, sacrificando una scrofa gravida.
Secondo un episodio molto simile a quello di Santa Barbara riportato dallo scrittore romano Lattanzio, un giorno la Bona Dea trovò in casa una brocca di vino, la bevve e si ubriacò. Per aver disobbedito, suo marito Fauno la castigò a tal punto con verghe di mirto che ne morì; questo spiega l’esclusione del mirto dal suo tempio. Secondo un’altra versione, Fauna è figlia di Fauno e avrebbe resistito al vino e alle frustate con cui il padre voleva costringerla a unirsi con lui 3. Lo stesso supplizio lo subì appunto Santa Barbara, nel quale le verghe si trasformarono in piume di pavone. Il pavone è simbolo di morte, resurrezione e di vita eterna ed era una animale sacro allevato nei templi. Chi gli strappava una piuma commetteva un atto sacrilego e poteva essere punito con la morte. Il pavone inoltre è uno degli animali sacri a Giunone, la sposa di Giove, e i romani lo chiamavano “Uccello di Giunone” 4. Secondo alcuni autori, il culto della Bona Dea a Cartagine era simile a quello di Giunone, chiamata Iuno Caelestis, mentre a Roma veniva rappresentata con un scettro in mano proprio come Giunone. Per la religione antica romana, Giunone era la divinità femminile corrispondente all’aspetto divino maschile di Giove, e come tale viene rappresentata come dea dell’atmosfera e della pioggia, ma anche sotto l’aspetto di dea lunare, dea del calendario, della donna, della vita femminile e della fecondità e divinità del matrimonio 5. Nella vicenda della santa, il padre Dioscuro morì, dopo aver messo a morte sua figlia, a causa di un fulmine, espressione della potenza divina di Giove.
Anche il mirto è da sempre associato alla femminilità quale simbolo di fecondità, una pianta sacra a Venere e alla Grande Madre 6. Le sacerdotesse dell’antica Roma a cui era affidato il culto della Bona Dea erano le Vestali, dette virgines Vestales. Questo sacerdozio femminile risale a tempi remotissimi del nostro passato italico. Le Vestali infatti erano sacerdotesse vergini al servizio della dea Vesta, la dea del focolare pubblico e domestico. Il loro compito era quello di custodire il fuoco sacro della dea, acceso all’interno del tempio a lei dedicato, facendo sì che non si spegnesse mai. La dea Vesta è caratterizzata da una sostanziale duplicità: da una parte, infatti, essa è la dea che protegge la città e lo stato, e i pretori, i consoli e i dittatori, le offrono sacrifici prima di assumere la propria carica; ma nello stesso tempo essa s’identifica con il focolare domestico che arde al centro di ogni casa privata e intorno al quale si riunisce la famiglia per consumare il pasto. Essa è quindi la protettrice della vita domestica, che tiene uniti tra loro i membri della famiglia, al punto che ogni casa e ogni focolare all’interno di essa si può a buon diritto considerare un piccolo santuario della dea, che divide con i Penati e i Lari il ruolo di nume tutelare della famiglia. All’interno del tempio dedicato alla dea, non vi era una statua che la raffigurasse, ma solo il fuoco sacro tenuto sempre acceso. Se il fuoco si fosse spento accidentalmente, lo Stato romano lo avrebbe considerato un presagio molto funesto, quindi il principale compito delle Vestali era di vigilare che ciò non accadesse. La vestale colpevole di aver lasciato, per sua negligenza, estinguere il fuoco, era punita con la fustigazione, che veniva inflitta dal pontefice massimo in persona. Le sacerdotesse, sulle quali esercitava la massima autorità il Pontiƒex Maximus, erano quattro in origine, successivamente divennero sei, scelte tra le ragazze di età compresa fra i sei e i dieci anni. Il loro servizio durava trent’anni: nei primi dieci esse imparavano l’arte come novizie; nei dieci successivi svolgevano a tutti gli effetti il loro ruolo; negli ultimi dieci, infine, addestravano le novizie destinate a prendere il loro posto. Esse godevano di notevoli privilegi ed erano emancipate dall’autorità paterna, ma avevano altresì numerosi obblighi, tra i quali quello di preservare la verginità durante il loro servizio: la violazione della castità era punita con la sepoltura della colpevole da viva 7.
Si può notare una chiara similitudine con la figura di Santa Barbara, anch’essa vergine e martirizzata col fuoco all’età di trentatre anni, la stessa età in cui una Vestale finiva il proprio cammino iniziatico per rientrare nella vita privata e maritarsi. Inoltre, l’iconografia e gli abiti della santa sono molti simili all’abbigliamento di una Vestale e della Dea Vesta in persona. Osservando le statue di Vestali rinvenute fra le rovine dell’Atrium Vestae del Foro, si evince che le sacerdotesse avevano il capo adorno delle vittae e dell’infula sacerdotali e i capelli raccolti sotto i seni crines, una specie di parrucca da cerimonia, tipica delle matrone e vietata alle fanciulle e alle meretrici. La testa era spesso raccolta nel suffibulum, che non è altro che il velo usato ordinariamente nei riti sacrificali, ma che, secondo alcuni, ricorderebbe il rosso flammeum di cui si velavano le fidanzate nel dì delle nozze. La tunica era stretta alla vita col cosiddetto “nodo d’Ercole”, com’era d’uso nell’acconciatura delle spose novelle 8. Invece la Dea Vesta veniva solitamente rappresentata seduta sul trono fra libagioni e con un bastone in mano detto arbor felix, che veniva usato dalle Vestali per accendere il Fuoco Sacro 9. Il medesimo abbigliamento lo si ritrova nell’iconografia di Santa Barbara: i capelli raccolti in una capigliatura da matrona, da cui parte un nastro svolazzante, anch’esso a ricordare i nastri che le sacerdotesse portavano tra i capelli; la spilla che sorregge il mantello e una fibula stretta in vita.
Tra i rituali della tradizione contadina che vengono svolti durante il giorno di Santa Barbara, e in connessione con le antiche pratiche delle Vestali, vi è la preparazione di zuppe, dolci e focacce di grano. La sera del 4 dicembre, nelle chiese di Cefalonia si svolge la cerimonia di benedizione di una zuppa di grano alla quale vengono aggiunti uvetta, semi di melagrana, noci, mandorle, sesamo, cannella, garofano e noce moscata: un inno alla fertilità e all’abbondanza durante il mese invernale. E’ una zuppa dalla forte valenza propiziatoria, preparata in casa dalle vergini e dalle giovani nubili, come ex voto alla santa, affinché le aiuti a trovar marito. Nel Ponto (l’antico Ponto Eusino, granaio dell’Ellade), in omaggio a Santa Barbara si prepara una zuppa di farina di grano misto a farina di granturco insieme a fagioli chiamata ‘varvara’. Per il 4 dicembre, le massaie ‘pontiakì’ cuociono anche le cosiddette ‘melopites’, frittelle di farina e noci tritate, annegate nel biondo miele 10. Gli stessi rituali, volti a propiziare la Grande Madre e il matrimonio, venivano celebrati dalle Vestali con l’offerta della mola salsa, una focaccia sacra composta da farina di farro, acqua e sale. La preparazione della mola salsa era estremamente delicata e in quanto tale affidata alle Vestali, che raccoglievano personalmente le spighe di farro per accertarsi che si trattasse di primizie. Un particolare uso del farro era poi collegato ai rituali del matrimonio. Veniva chiamato confarreatio il matrimonio più solenne, per il quale non era ammesso il divorzio, e che comprendeva nel rituale l’offerta di una torta di farro a Giove Capitolino, che veniva compiuta dagli sposi alla presenza del Flamen Dialis, il sacerdote di Roma preposto al culto di Giove Capitolino. Il farro è simbolicamente associato a Giove ed è stato il cereale più usato nell’alimentazione degli antichi romani fino al V sec. a.C. 11 Santa Barbara dunque, esattamente come la dea Vesta e la Grande Madre, viene associata alla fertilità, all’abbondanza e alle unioni coniugali.
In antica Grecia, la divinità corrispondente a Vesta era la dea Estia, dea del focolare sia nelle case private che nei luoghi pubblici. Il nome Estia in greco antico ῾Εστία significa “focolare, camino, altare”. Una tra le prime forme del tempio fu il focolare; i primi templi di Dreros e Prinias a Creta sono di questo tipo, così come il tempio di Apollo a Delfi che ha sempre avuto la sua hestia interna. La grande sala micenea (megaron), come la sala di Ulisse ad Itaca descritta da Omero, aveva un focolare centrale. La dea era oggetto di grande venerazione presso i Greci, non soltanto perché è la più mite, la più onesta e la più caritatevole delle dee dell’Olimpo, ma anche perché inventò l’arte di costruire le case. Secondo la tradizione, Estia era la figlia primogenita dei titanidi Rea e Crono, e fu perciò la prima a venir inghiottita da suo padre Crono. Da Zeus ottenne la verginità eterna, dopo aver rifiutato Apollo e Poseidone come pretendenti. Essendo il focolare considerato il centro della vita domestica, Estia era considerata la dea protettrice della casa e della vita familiare, e si riteneva che risiedesse nella parte interna e più intima di ogni abitazione. Solitamente, la responsabilità per il culto domestico di Estia ricadeva sulla matriarca della famiglia, e raramente su un uomo 12. Il nome e le funzioni di Estia mostrano l’importanza del focolare nella vita sociale, religiosa e politica dell’antica Grecia. Ad Estia le venivano offerte anche le prime e le ultime libagioni di vino durante le feste e le veniva sempre fatta una piccola offerta prima di ogni sacrificio (“Hestia viene prima”) 13.
Il focolare dunque era essenziale per il calore, la preparazione del cibo e il completamento delle offerte sacrificali alle divinità. Esso è il depositario della lunga ontogenesi della famiglia, è il luogo attorno a cui si raduna la gens e la rende diretta discendente del cielo, è il luogo ove si prepara il sostentamento materiale dell’uomo. Il focolare era il primo elemento costruttivo a cui si poneva mano nell’erigere la casa, attorno a cui sorgeva il resto del fabbricato, costituito di argilla o di mattoni crudi o cotti. Nato come semplice fiamma centrale nelle abitazioni primitive durante il Neolitico, circondato di terra o sassi, il focolare veniva associato alla presenza degli spiriti protettori della casa e della comunità. Nelle società matriarcali dell’antica Europa, la donna aveva un ruolo fondamentale, non solo come capo e guida spirituale della comunità, ma soprattutto come sacra custode del focolare tramite il quale la Grande Dea, attraverso antichissimi riti, rivelava il suo volere e le indicazioni per la vita dell’intera comunità. Alcuni di questi riti vivono ancora oggi, come ad esempio l’offerta propiziatoria nel focolare di un ceppo di legno di quercia, chiamato “capodono”, durante la sera della vigilia natalizia.
In conclusione, si è visto come Santa Barbara e le divinità dei culti pagani precedenti, come la dea romana Vesta e la dea greca Estia, rappresentino l’archetipo femminile della sacra custode del focolare, erede di una tradizione millenaria proveniente dalle radici ancestrali.
1 Cattabiani, A. (2013). “Barbara”, Santi d’Italia. Milano: Rizzoli.
2 Ferrari, A. (2015). Dizionario di mitologia greca e latina. Torino: UTET, p. 117.
3 Bona Dea. Treccani Enciclopedia online, https://www.treccani.it/enciclopedia/bona-dea/#:~:text=Bona%20Dea%20Divinit%C3%A0%20romana%20venerata,cerimonia%20erano%20banditi%20gli%20uomini.(ultima visita 03/12/2020).
4 Cattabiani, A. (2001). Volario: simboli, miti e misteri degli esseri alati: uccelli, insetti, creature fantastiche, Il pavone di Era e il pavone di Cristo. Milano: Mondadori.
5 Giunone. Treccani Enciclopedia online, https://www.treccani.it/enciclopedia/giunone/ (ultima visita 03/12/2020).
6 Cattabiani, A. (1998). Florario: miti, leggende e simboli di fiori e piante. Milano: A. Mondadori, p. 348.
7 Vestale. Treccani Enciclopedia online, https://www.treccani.it/enciclopedia/vestale_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultima visita 03/12/2020).
8 Ibidem
9 Ferrari, A. (2015). Dizionario di mitologia greca e latina. Torino: UTET, p. 730.
10 Festa del grano per Santa Barbara 4 dicembre. Taccuini Gastrosofici.it, https://www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/medioevale/usi-costumi/Santa-Barbara-del-grano.html (ultima visita 03/12/2020).
11 Ferrari, A. (2015). Dizionario di mitologia greca e latina. Torino: UTET, p. 319.
12 Estia. Treccani Enciclopedia online, https://www.treccani.it/enciclopedia/estia_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultima visita 03/12/2020).
13 Burkert, W. (2019). La religione greca di epoca arcaica e classica. Milano: Jaca book, p. 332.