Il libro delle profondità interiori – Jalāl-ud-Dīn Rūmī
Il libro delle profondità interiori – Jalāl-ud-Dīn Rūmī (1996). Milano: Luni, 297 p. ; 23 cm.
La maggior parte delle anime è addormentata: il ruolo del Maestro consiste essenzialmente nell’operare un risveglio. Tutta l’opera di Jalal-ud-Din Rumi tende a questo fine: «Ho studiato le scienze» dice «e ho compiuto sforzi affinché i sapienti e i cercatori e le persone intelligenti e quelli che pensano profondamente vengano da me e io possa esporre loro cose preziose, sorprendenti e sottili: Dio l’Altissimo ha voluto così».
Il grandissimo poeta fondatore della tarıqua mawlawıya si è sempre rifiutato di fare dell’arte per l’arte: egli ha voluto essere prima di tutto un Maestro spirituale, ed è in questa veste che lo vediamo apparire nel Libro delle profondità interiori.
L’intero insegnamento di Rumı porta l’impronta della più grande tolleranza; egli dice infatti: «Se le vie sono differenti, lo scopo è uno solo».
Fıhi-ma-Fıhi, Il libro delle profondità interiori, unica opera in prosa del persiano Jalal-ud-Din Rumi, è composto da una serie di discorsi in forma di risposte dirette a domande che vengono presentate al Maestro.
È un testo ricco di spiegazioni al di sopra delle righe, silenziose e determinanti, tanto importante che la traduzione letterale del titolo potrebbe suonare pressappoco come C’è ciò che c’è, come se Rumı, con la sua versione in prosa, avesse voluto permettere a tutte le persone di potersi avvicinare al suo profondo pensiero spirituale.
La bellezza di questo testo è che la sua lettura può essere non consequenziale ma come una raccolta di perle, ognuna delle quali, singolarmente, può dispensare verità.
Gli aneddoti, le sagaci spiegazioni e le interpretazioni delle situazioni della vita che abbondano in questo testo – tutti da leggere con occhio spirituale -, hanno spesso la freschezza e semplicità dei racconti del medioevo e la sicurezza dei profondi insegnamenti dottrinali che questi ultimi contenevano.
Jalâl âlDîn Rûmî (Balkh, 30 settembre 1207 – Konya, 17 dicembre 1273) è stato un ʿālim, teologo musulmano sunnita, e poeta mistico di origine persiana. Fondatore della confraternita sufi dei “dervisci rotanti” (Mevlevi), è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana. In seguito alla sua dipartita i suoi seguaci si organizzarono nell’ordine Mevlevi, con i cui riti tentavano di raggiungere stati meditativi per mezzo di danze rituali e musica (nella quale predominante era il suono del flauto ney, da Rumi esaltato nel proemio del suo Masnavī).
Fu il massimo esponente della dottrina Sufi, anche grazie a lui il Sufismo si è diffuso liberamente in tutto il mondo islamico, con un considerevole arricchimento di tutto il pensiero musulmano. Insegnò Scienza del diritto coranico e Giurisprudenza e nel corso della sua vita, si dice, ebbe quattrocento studenti e circa mille auditori. Uomo di grande fede ed illuminazione, ha lasciato ai posteri versi e massime di rara bellezza che predicano la tolleranza e l’amore fra gli uomini, rigettando qualsiasi eccesso e fanatismo religioso.
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