La paura dei morti nelle religioni primitive – James George Frazer
La paura dei morti nelle religioni primitive – James George Frazer; presentazione di Gilberto Mazzoleni (1978). Milano: Longanesi & C. 224 p. ; 20 cm.
Quando i wawanga che vivono alle pendici del monte Elgon, in Kenya, attribuiscono una malattia all’influsso maligno di uno spirito trapassato, esumano il cadavere, bruciano le ossa su un nido di formiche rosse, quindi raccolgono le ceneri in un cesto e le gettano nel fiume. Talvolta, anziché riesumare la salma, conficcano una pertica appuntita nella bara e per maggior sicurezza vi versano sopra acqua bollente: così ritengono di sopprimere definitivamente lo spirito che causa la malattia.
Nella Paura dei morti nelle religioni primitive, opera nata da due cicli di conferenze tenute tra il 1932 e il 1933 da Sir James George Frazer al Trinity College di Cambridge, l’ipotesi di fondo è che esista un atteggiamento unico nei confronti delle anime dei defunti: l’uomo cerca di liberarsi dei pericolosi spiriti dei morti ora con la persuasione e la conciliazione, ora con la forza e l’inganno; questa paura dei morti è all’origine delle religioni «primitive» di tutte le epoche e latitudini.
Come già nel Ramo d’oro – in cui si analizzavano le somiglianze tra le credenze mitiche, magiche e religiose dei popoli di tutto il mondo, comprese le civiltà antiche e la prima cristianità, fra riti di fertilità, sacrifici umani, capri espiatori, nozze sacre, re maghi e dèi morituri –, così nella Paura dei morti, testo centrale nel corpus della sua opera, Frazer disvela la correlazione simbolica tra mito e rito, corroborando le sue argomentazioni, oltre che con un’esposizione brillante quanto rigorosa, con una ricca messe di notizie documentarie cui ancora oggi gli studiosi di mitografia attingono. Per Frazer, che si considerava discepolo e continuatore di Charles Darwin, la teoria dell’evoluzione è da interpretare come un paradigma sociale, un progresso dell’umanità in tre stadi: dalla magia primitiva nasce la religione, che a sua volta culmina nella scienza.
Nonostante la scienza etnologica e antropologica successiva abbia necessariamente superato il suo comparativismo assoluto – il quale peraltro non comprendeva la ricerca sul campo, nutrito com’era di resoconti di viaggio e fonti letterarie –, Frazer resta una pietra miliare nella storia della cultura moderna e nella formazione del pensiero del Novecento, tanto da essere accostato a Karl Marx e Sigmund Freud, che a lui infatti attinse per Totem e tabù. La sua influenza si è esercitata tuttavia ben oltre i confini dell’accademia e ha condizionato generazioni non solo di pensatori e studiosi, ma anche di artisti e poeti, tra cui T.S. Eliot, W.B. Yeats e H.P. Lovecraft, nonché James Joyce ed Ernest Hemingway. Una fascinazione potente, che tuttora perdura e dalla quale il Saggiatore consente oggi di farsi ancora ispirare, come solo con i classici accade.
James George Frazer (Glasgow, 1º gennaio 1854 – Cambridge, 7 maggio 1941) è stato un antropologo, un folclorista, uno storico delle religioni scozzese e uno studioso di musica classica che ha insegnato per gran parte della sua vita al Trinity College di Cambridge. Fortemente influenzato dalla cultura primitiva di Edward Burnett Tylor, pubblicata nel 1871, scrisse The Golden Bough (1890), una massiccia ricostruzione di tutto il pensiero e le usanze umane attraverso le successive fasi di magia, religione e scienza. Il Golden Bough è considerato da molti oggi come una reliquia molto amata ma antiquata, ma, rendendo i dati e la conoscenza antropologici accademicamente rispettabili, Frazer rese possibile la moderna antropologia comparata.
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