La Bestia Interiore: simboli archetipici e riti di passaggio in “La Bella e la Bestia”
La Bestia Interiore: simboli archetipici e riti di passaggio in “La Bella e la Bestia”
di Hasan Andrea Abou Saida
La fiaba de “La Bella e la Bestia” è una delle storie più amate e raccontate al mondo, affascinando lettori di ogni età con il suo messaggio di amore, trasformazione e accettazione. Le sue origini antiche e i significati simbolici hanno dato vita a una narrazione ricca e complessa, che continua a ispirare reinterpretazioni moderne. La forma più celebre della fiaba, attribuita a Jeanne-Marie Leprince de Beaumont nel 1756, deriva da una versione più lunga scritta da Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve nel 1740. Tuttavia, le radici della storia affondano in tradizioni orali molto più antiche, collegandosi a racconti mitologici come quello di Psiche e Cupido narrato da Apuleio nell’“Asino d’Oro”, e a miti orientali che esplorano l’unione tra un fanciulla e un essere soprannaturale. Nel racconto di Beaumont, la protagonista, la più giovane di tre sorelle, si distingue per la sua bontà e semplicità. Quando il padre ruba una rosa dal giardino della Bestia, Bella si offre volontaria per prendere il suo posto nel castello. Qui scopre che dietro l’aspetto mostruoso della Bestia si cela un cuore gentile, e il loro amore reciproco, rompe l’incantesimo che aveva trasformato il principe in una creatura mostruosa.
Mentre nella versione di Villeneuve, si racconta di un mercante vedovo che vive con i suoi sei figli, tra cui Bella, la più giovane e gentile. Dopo aver perso la loro fortuna, la famiglia si trasferisce in campagna, dove Bella si adatta con umiltà, a differenza delle sue sorelle gelose. Un giorno, il mercante si reca in città sperando di recuperare una delle sue navi. Sulla via del ritorno, si perde in una tempesta e trova rifugio in un castello incantato, dove coglie una rosa per Bella. Questo atto lo condanna a morte per mano della Bestia, il padrone del castello, che gli risparmia la vita solo se una delle sue figlie si offre di prendere il suo posto. Bella si sacrifica e si trasferisce al castello, dove scopre che la Bestia, nonostante il suo aspetto, è gentile e premurosa. Ogni notte, lui le chiede di sposarlo, ma Bella rifiuta, sognando un principe misterioso. Quando le viene concesso di visitare la sua famiglia, le sue sorelle, invidiose, la trattengono oltre il tempo stabilito. Tornata al castello, Bella trova la Bestia morente e, rendendosi conto del suo amore, accetta di sposarlo. Questo atto spezza l’incantesimo: la Bestia si trasforma in un principe e i due si sposano. Con il tempo, la Fata buona rivela che Bella è in realtà una principessa perduta: il suo padre biologico era il fratello della Regina, il Re delle Isole Fortunate, che credeva che Bella fosse morta da bambina; e la sua madre biologica era la sorella della Fata.
Tra le varianti europee del racconto, troviamo la versione tragica “Le Loup Blanc” (Il lupo bianco): raccolta da Emmanuel Cosquin in Lorena. La figlia più giovane chiede una rosa che canta, e il padre la trova nel castello del Lupo Bianco. Per salvare la propria vita, l’uomo promette al Lupo il primo essere vivente che incontrerà al ritorno, che si rivela essere la figlia minore. Nel castello, la ragazza scopre che il Lupo è umano di notte, ma non deve rivelarlo. Quando le sorelle la convincono a raccontare il segreto, il castello crolla e il Lupo muore. Nella versione raccolta da Henri Pourrat in Alvernia invece, le sorelle si chiamano Rose, Marguerite e Julianne. La Bestia è una creatura con caratteristiche di mastino, lucertola e salamandra. Il finale ricalca quello di Beaumont: Rose torna di corsa al castello e salva la Bestia morente, che si trasforma in principe.
Nella tradizione orale italiana il racconto è altresì popolare e vi si ritrovano molte versioni. Nella variante ritrovata da Christian Schneller nel Trentino, la Bestia è un serpente. L’eroina partecipa al matrimonio della sorella accompagnata dal serpente, che si trasforma in un giovane bello quando lei gli calcia la coda durante il ballo. La fiaba di Bellindia, raccolta da Domenico Comparetti e da Antonio De Nino (Abruzzo), presenta variazioni interessanti. In alcune versioni, Bellindia chiede un garofano dorato invece di una rosa. Un albero magico, detto “Albero del Pianto e del Riso”, riflette gli eventi della sua famiglia: le foglie si alzano per la gioia e cadono per il dolore.
Nella variante “Zelinda e il Mostro”, raccolta da Vittorio Imbriani si narra della figlia più giovane e adorata di un mercante che, durante un viaggio, si imbatte in un magnifico giardino, il regno del misterioso Re delle Arance. Il giardino è incantato, ricco di alberi carichi di frutti dorati e profumati. Tuttavia, quando il mercante raccoglie un’arancia per portarla a sua figlia Zelinda, viene fermato dal Mostro, una creatura terrificante che regna su quel luogo. Il Mostro gli concede la libertà a patto che il mercante gli consegni una delle sue figlie. Un giorno Zelinda viene informata che suo padre è gravemente malato. Il Mostro, pur con dolore, le permette di tornare da lui con la promessa di tornare entro un certo tempo. Zelinda ritrova il padre, ma il suo ritorno a casa si prolunga, e il Mostro, tradito nel suo affetto, cade in uno stato di disperazione. Quando Zelinda ritorna al giardino, lo trova ormai in rovina, e il Mostro giace morente. Col cuore spezzato, Zelinda si rende conto di amarlo sinceramente e, dichiarando il suo amore, lo bacia. Questo atto spezza l’incantesimo: il Mostro si trasforma nel Re delle Arance, un giovane principe vittima di un sortilegio. Con il suo gesto, Zelinda salva non solo il Mostro, ma anche suo padre, che guarisce miracolosamente. Tornato a casa, il mercante racconta la vicenda e, con grande coraggio, Zelinda decide di sacrificarsi per salvare il padre. Giunta al palazzo del Mostro, scopre che, nonostante il suo aspetto orribile, il Mostro la tratta con rispetto e le offre una vita lussuosa. Col tempo, Zelinda si affeziona al Mostro, ma ogni notte lui le chiede di sposarlo, e lei rifiuta, non riuscendo a superare la repulsione per il suo aspetto.
Rachel Harriette Busk, una nota folklorista britannica, raccolse a Roma una versione della fiaba intitolata The Enchanted Rose-Tree. Questa variante si distingue per un dettaglio importante: l’eroina non ha sorelle. Questa particolarità cambia profondamente la dinamica della storia, che si concentra unicamente sulla relazione tra la giovane e la Bestia. L’assenza delle sorelle elimina le rivalità e le gelosie tipiche di altre versioni, mettendo invece al centro la crescita personale dell’eroina e il suo rapporto con il Mostro. Il risultato è una narrazione più intima e diretta, dove il focus rimane sul tema centrale della fiaba: andare oltre le apparenze per scoprire il vero valore di una persona. Anche il titolo, The Enchanted Rose-Tree, richiama l’immaginario del giardino magico e sottolinea l’importanza simbolica della natura e della bellezza nascosta.
Dall’Abruzzo, invece, arriva una versione raccolta da Antonio De Nino e intitolata Bellindia. Questa variante introduce un dettaglio unico: l’eroina non chiede una rosa, come avviene solitamente, ma un garofano dorato. Questo fiore, legato alla tradizione popolare italiana, diventa simbolo di bellezza e rarità, rafforzando il legame della fiaba con il contesto culturale locale. Ma ciò che rende davvero speciale questa versione è l’introduzione dell’Albero del Pianto e del Riso, un elemento magico che collega Bellindia con la sua famiglia. Le foglie di questo albero reagiscono agli eventi familiari: si alzano verso il cielo quando nella casa del padre c’è gioia, ma cadono tristemente quando c’è dolore. Questo tocco poetico aggiunge una dimensione emozionale alla fiaba e sostituisce il tradizionale specchio magico. Attraverso l’albero, Bellindia rimane legata al suo mondo originario, pur vivendo nella dimora della Bestia, e la storia acquisisce una forte carica simbolica, evocando temi di amore familiare e nostalgia.
Analizzando la fiaba e le sue varianti, si possono notare le simbologie iniziatiche ed archetipiche del percorso di crescita interiore e di trasformazione del femminile. Uno degli aspetti centrali della storia è il viaggio iniziatico della fanciulla, che rappresenta il passaggio dall’innocenza alla consapevolezza, dall’immaturità alla piena espressione della propria forza interiore. La figura della Bestia, apparentemente terrificante, incarna l’ombra, ovvero quella parte inconscia e istintiva che la protagonista deve affrontare per raggiungere una più profonda comprensione di sé e del mondo. In termini alchemici, questo processo può essere visto come una “nigredo”, la fase iniziale di morte simbolica, necessaria per giungere alla “rubedo”, la redenzione e la rinascita.
Nel libro Il mondo incantato, Bruno Bettelheim analizza La Bella e la Bestia offrendo una lettura psicopedagogica che collega la fiaba al processo di maturazione psicologica e affettiva. Per Bettelheim, questa storia, come le altre del ciclo dello sposo animale, rappresenta simbolicamente il passaggio dal narcisismo infantile all’investimento oggettuale, ovvero la capacità di sviluppare relazioni affettive con l’altro. In questo percorso, emergono i conflitti psichici che accompagnano tale maturazione, tra cui il misto di ripugnanza e attrazione che caratterizza la scoperta del sesso. Secondo Bettelheim, La Bella e la Bestia affronta, in modo allusivo, il superamento della paura dell’intimità e del desiderio sessuale. Il disgusto iniziale che Bella prova per la Bestia simboleggia la percezione infantile del sesso come qualcosa di “bestiale” e ripugnante. Tuttavia, la fiaba insegna che, con il giusto approccio, questa percezione evolve, rivelando la bellezza nascosta dietro le apparenze mostruose. Inoltre, La Bella e la Bestia riflette il percorso di crescita personale di Bella, che deve allontanarsi dalla sicurezza familiare per affrontare le sfide dell’età adulta. Il suo viaggio rappresenta la necessità di superare le paure legate al cambiamento e all’ignoto, scoprendo la bellezza e il valore della connessione autentica. La Bestia, invece, incarna la trasformazione delle pulsioni più istintive, dimostrando come l’amore e l’accettazione possano portare alla redenzione e alla sublimazione.
In L’Orso e le Tre Sorelle, raccolta in Sardegna da Francesco Mango, il simbolo dell’orso introduce un aspetto arcaico e selvaggio, che richiama le antiche divinità totemiche o zoomorfe. L’orso rappresenta la forza primordiale della natura, che può essere spaventosa ma che racchiude una dimensione protettiva e trasformativa. La protagonista, attraverso il suo amore e la sua accettazione, riesce a trasmutare questa forza in qualcosa di umano e armonioso, unendo la natura selvaggia con la civiltà. Nella tradizione celtica, l’orso è profondamente legato alla Luna e al suo simbolismo ciclico e trasformativo. Questo animale, spesso associato alle divinità femminili lunari, rappresenta la forza primordiale del femminile, una potenza che si manifesta attraverso la protezione, la maternità e il ciclo della vita. La connessione con la Luna sottolinea la sua relazione con i ritmi naturali, come il ciclo mestruale, la gravidanza e la crescita, che scandiscono il passaggio dalla giovinezza alla maturità.
L’orso è anche simbolo di gravidanza e rinnovamento. Il suo letargo invernale, durante il quale si rifugia nella tana per riposare e, spesso, per dare alla luce i suoi cuccioli, richiama il grembo materno e il concetto di rinascita. Questo aspetto lo rende una metafora potente della trasformazione interiore e della maturazione psicologica: proprio come l’orso si ritira per rigenerarsi, così la donna attraversa momenti di introspezione per crescere e accedere a una nuova fase della vita. La maternità, nella simbologia dell’orso si estende al concetto di cura e protezione della prole o della comunità. La ferocia con cui l’orsa difende i suoi cuccioli rappresenta la forza interiore e la determinazione che emergono nel femminile quando si tratta di proteggere ciò che è prezioso. Questa qualità riflette il passaggio dalla condizione di fanciulla, più centrata su se stessa, a quella di donna matura, capace di responsabilità e dedizione verso gli altri. Nella tradizione celtica, l’orso è spesso associato a dee guerriere e protettrici, come Artio, la dea celtica della fertilità e della natura selvaggia, il cui nome deriva proprio dalla radice indoeuropea artos (orso). Artio incarna la forza e la saggezza del femminile selvaggio, capace di muoversi in armonia con i cicli naturali e di attingere alle energie primordiali della Terra. Questa simbologia si intreccia strettamente con i riti di passaggio femminili. L’orso diventa il totem che guida la donna attraverso le sfide della crescita, simboleggiando la capacità di affrontare l’ombra, di accettare i cambiamenti e di emergere più forte e consapevole. Nella tradizione celtica, quindi, l’orso rappresenta un ponte tra il mondo fisico e quello spirituale, un archetipo di trasformazione e saggezza legato alla Luna, alla maternità e alla protezione. Anche il serpente, presente nella versione trentina di Christian Schneller, richiama simbologie legate all’iniziazione femminile.
Nella tradizione italica, il serpente rappresenta un simbolo di saggezza, protezione e rigenerazione, profondamente radicato nel culto ctonio della Madre Terra e nei miti legati alla fertilità e alla trasformazione. La figura del serpente era spesso associata a divinità femminili come Angizia, venerata dai Marsi e dai popoli del Centro Italia, dea della guarigione e della magia. Il serpente simboleggiava il potere di rigenerazione della natura, il ciclo continuo di vita, morte e rinascita, e il legame con le forze profonde e misteriose della terra. A differenza dell’orso, che rappresenta la protezione materna e la forza nel passaggio dalla fanciullezza alla maturità, il serpente si lega più direttamente alla trasformazione spirituale e alla conoscenza nascosta. In alcune tradizioni popolari italiche, il serpente era considerato un guardiano di tesori e luoghi sacri, a indicare il suo ruolo come custode di segreti e del sapere antico. Questa simbologia riflette anche il ruolo del serpente come guida nei processi di crescita interiore e spirituale.
Bibliografia
Apuleio. (2016). Le Metamorfosi o L’Asino d’Oro. Milano: Rizzoli.
Barbot de Villeneuve, G.-S. (1740). La Belle et la Bête.
Beaumont, J.-M. Leprince de. (1756). La Belle et la Bête.
Bettelheim, B. (2017). Il mondo incantato: Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Milano: Feltrinelli.
Busk, R. H. (1874). The Folk-lore of Rome: Collected by Word of Mouth from the People. London: Longmans, Green & Co.
Comparetti, D., & De Nino, A. (1875). Fiabe, novelle e racconti popolari italiani. Firenze: G. Barbèra.
Cosquin, E. (1886). Contes populaires de Lorraine. Paris: Maisonneuve et Ch. Leclerc.
Frazer, J. G. (1910). Totemism. London: Adam and Charles Black.
Imbriani, V. (1877). Novellaja Fiorentina. Firenze: Le Monnier.
Mango, F. (1982). Tradizioni popolari di Sardegna. Sassari: Gallizzi.