Le origini celtiche ed iniziatiche di Biancaneve
Le origini celtiche ed iniziatiche di Biancaneve
di Hasan Andrea Abou Saida
Le fiabe popolari, come abbiamo già dimostrato nel precedente articolo su Cappuccetto Rosso, sono un ricordo di antiche cerimonie iniziatiche che venivano celebrate nelle comunità tribali primitive. In accordo con la tesi degli studiosi Vladimir Propp e Anselmo Calvetti, la maggior parte degli elementi costitutivi delle fiabe risalgono a riti e miti “primitivi” dei clan, al ciclo di iniziazione giovanile e alle rappresentazioni della morte e rinascita dell’iniziando. Una tra queste fiabe popolari e magiche, dove la memoria di un rito iniziatico è ancora viva, è la favola di Biancaneve. Gli stessi fratelli Grimm consideravano le fiabe come una rimanenza di miti antichi sopravvissuti nella memoria popolare e tramandati oralmente. Jacob Grimm scrisse all’amico Achim von Arnim nel 1812 a tal proposito: “Sono fermamente convinto che tutte le fiabe della nostra raccolta … venivano narrate già millenni fa … in questo senso tutte le fiabe si sono codificate come sono da lunghissimo tempo, mentre si spostano di qua e di là in infinite variazioni”.
Nella prima versione della fiaba, trascritta dai Fratelli Grimm nel libro “Kinder und Hausmärchen” del 1812, la madre della futura fanciulla, dopo essersi punta un dito con un fuso, sognò di avere una bambina bianca come la neve, nera come l’ebano, rossa come il sangue. La donna rimase quindi incinta e partorì una bambina. La madre divenne gelosa della bellezza di Biancaneve al compimento dei sette anni, così chiese a un cacciatore di ucciderla e di portarle polmone e fegato della bambina, per poterli cucinare con sale e pepe e mangiarli. Il cacciatore però, mosso da pietà, lasciò libera Biancaneve nel bosco ed uccise al suo posto un cinghialetto, le cui interiora portò alla regina come prova della morte della fanciulla. La regina mangiò le interiora credendo che fossero della fanciulla, ma scoprì il tranello del cacciatore. Biancaneve, fuggita nel bosco, si rifugiò presso la casa dei sette nani. Nel tentativo di ucciderla, la madre si presentò a Biancaneve camuffata da vecchia merciaia, e regalò alla figlia un pettine avvelenato. Il tentativo fu sventato dai nani che sfilarono il pettine dai capelli della bambina. Al secondo tentativo, la madre le offrì una mela avvelenata, e Biancaneve mordendola cadde a terra come morta. Quando i nani la trovarono a terra, pensarono che fosse troppo bella per seppellirla, così la misero in una bara di cristallo con inciso il nome della bambina in lettere d’argento, e la tennero in casa “per molto, molto, molto tempo”. Un principe, passando di lì, si innamorò perdutamente del cadavere e lo chiese in dono ai nani, facendola trasportare nel suo castello e sistemando la bara di cristallo nei suoi appartamenti. Il principe stava seduto tutto il giorno a fissarla, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla fanciulla. E quando doveva uscire e non poteva guardarla era preso da umor nero, e senza la bara accanto non riusciva a mandar giù nemmeno un boccone. I servitori del principe, stanchi di scarrozzare la bara avanti e indietro, un giorno la aprirono e se la presero con il cadavere, tenendolo per le spalle e scuotendolo. In questo modo Biancaneve sputò il pezzo di mela e ritornò in vita. Biancaneve e il principe decisero dunque di sposarsi. Quando la madre fu invitata alle loro nozze, si recò da sua figlia per cercare ancora di ucciderla, ma la aspettò una terribile vendetta: dopo aver preparato per la madre delle scarpe di ferro incandescenti, fu costretta a indossarle e danzare e danzare, fino ad avere i piedi orribilmente bruciati, e senza poter smettere fino a quando, ballando ballando, cadde a terra morta 1.
Le evidenti tracce di un antichissimo rito iniziatico, rivolto al femminile, appaiono chiaramente in tutta la fiaba di Biancaneve. La storia di Biancaneve ha profonde analogie e similitudini con un’altra antichissima storia celtica di Deirdre, un’eroina della mitologia irlandese. Deirdre era la figlia del bardo reale Fedlimid mac Daill. Prima che nascesse, Cathbad, il capo druido alla corte di Conchobar mac Nessa, re dell’Ulster, profetizzò che la figlia di Fedlimid sarebbe diventata molto bella, ma che re e signori sarebbero andati in guerra per lei, molto sangue sarebbe stato versato a causa sua, e i tre più grandi guerrieri dell’Ulster sarebbero stati costretti all’esilio per il suo bene. Sentendo ciò, molti esortarono Fedlimid a uccidere la bambina alla nascita, ma Conchobar, eccitato dalla descrizione della sua futura bellezza, decise di tenere la bambina per sé e di allevarla in una fortezza isolata, dove non avrebbe dovuto vedere alcun uomo finché non fosse venuto il re in persona a prenderla in moglie. Deirdre crebbe in sicurezza nella fortezza, ma in un giorno d’inverno, quando il vecchio custode uccise un cerbiatto sulla porta della fortezza, la ragazza vide un corvo che beveva il sangue finito sulla neve. Chiese allora alla sua balia: “Mia cara, sii sincera. Dov’è quell’uomo che ha la pelle bianca come la neve, le guance rosse come il sangue e i capelli neri come le ali di una corvo? Ti prego, Lewara, dimmi, esiste al mondo un uomo così? Io voglio amarlo, e lui dovrà amare me”. Lewara le disse che stava descrivendo Naoise, un bel giovane guerriero, cacciatore e bardo alla corte di Conchobar. Deirdre incontrò Naoise e si innamorarono. Per poter scappare lontani dal re Conchobar, Deirdre insieme ai fratelli di Naoise, Ardan e Ainnle, e ai tre figli di Uisneach, fuggirono in Scozia, dove vissero una vita felice cacciando e pescando pacificamente. Ma il re Conchobar, umiliato e furioso, mandò Fergus mac Róich da loro con un invito a tornare dal re. Deirdre e i figli di Uisnech si rifugiarono a Emain Macha grazie a Fergus, ma Conchobar chiamò i suoi guerrieri per attaccare la casa del Ramo Rosso dove alloggiavano Deirdre e i figli di Uisnech, uccidendo Naoise. Dopo la morte di Naoise, Conchobar prese Deirdre in moglie ma che, solo dopo un anno straziata dal dolore per la perdita del suo amato, si gettò disperata da un carro in corsa e morì 2.
Entrambe le vicende hanno molte similitudini, ma è molto probabile che l’aspetto esoterico delle due storie sia connesso ai riti iniziatici femminili. Secondo l’antropologo ungherese Angelo Brelich, l’iniziazione femminile, a differenza di quella maschile, avviene in due momenti di profonda trasformazione: la pubertà si presenta, inequivocabilmente, da un momento all’altro, con la prima mestruazione, mentre il matrimonio, e di conseguenza il parto, trasforma totalmente le condizioni fisiologiche e sociali della donna. Le iniziazioni femminili spesso si associano a riti di pubertà e riti nuziali, e spesso si confondono con essi. Come per le iniziazioni maschili, anche in quelle femminili l’elemento rituale più importante è la segregazione nella foresta o in una capanna. La giovane inizianda è affidata ad una anziana o a più persone che la assistono e la istruiscono sui compiti prettamente femminili, tra cui quelli connessi, in special modo, alla vita sessuale e alla maternità. Durante il periodo di segregazione, le iniziande imparano canzoni e danze rituali, come pure imparano certi mestieri prettamente femminili, come la filatura e la tessitura. La cerimonia finale dell’iniziazione femminile, altrettanto essenziale come il rito di segregazione, è il corteo e le acclamazioni delle donne che accolgono l’inizianda. In tal modo la fanciulla è presentata solennemente alla comunità come una persona adulta, pronta ad assumere il ruolo di donna 3. Tracce di una istituzione iniziatica primitiva, anteriore all’epoca pre-micenea, si ritrovano nelle cerimonie ateniesi del V sec. a.C. Nei versi della Lysistrata di Aristofane le donne del coro, rivolte a tutti i cittadini, magnificano l’educazione che avevano ricevuto dalla città-stato dicendo: “Appena compiuti i sette anni feci subito l’arrephoros; dopo, ero aletris, a dieci anni d’età, al (servizio del) l’archegetis; e dopo, avendo la veste color zafferano, ero arktos nei Brauronia; e feci la kanephoros, finalmente diventata una bella fanciulla, avendo la fila (collana?) di fichi secchi” (Aristofane, Lisistrata 641). Questo celebre passo rappresenta la testimonianza più importante sulle arrephoroi. Il rituale arreforico si inseriva in una fitta serie di feste religiose che si susseguivano durante l’anno e che avevano un carattere “preparatorio” in funzione delle Panatenee, secondo schemi rituali più arcaici, connessi verosimilmente con il ciclo della Natura. Le “Arrephoros” erano giovinette dai sette ai dodici anni che facevano da accolito e lavoravano al servizio di Atena sull’Acropoli di Atene, e venivano incaricate di condurre rituali specifici. Le Arreforie venivano celebrate nel mese di Sciroforione (metà giugno-metà luglio), in onore di Atena Poliàs. Secondo lo scrittore e geografo greco Pausania il Periegeta, due vergini arrefore, tra i sette e gli undici anni, già adibite al servizio della Dea, venivano scelte durante una notte del mese di Sciroforione, dopo che la sacerdotessa di Atena aveva dato loro degli oggetti segreti da portare sul capo (ignoti anche alle portatrici); quindi venivano accompagnate in un naturale passaggio sotterraneo ubicato sotto il santuario di Afrodite dei Giardini. Qui deponevano gli oggetti sacri e ricevevano qualcos’altro da portare con sé all’esterno al ritorno. Le arrefore scelte durante la segregazione nell’Acropoli di Atene portavano una veste bianca ornata d’oro e la loro alimentazione era basata su un tipo di focaccia particolare. Si occupavano inoltre della tessitura del peplo (abito delle donne greche) che ogni quattro anni veniva offerto ad Atena Poliàs per rinnovare il suo abbigliamento 4. Il termine ἀρρηϕόροι con le sue varianti ἐρρηϕόροι e ἐρσηϕόροι, di oscura etimologia, è probabilmente un arcaico sinonimo di κανηϕόροι (portatrici di canestri). Dalle iscrizioni greche, si riconoscono arreforie per altre divinità, come per Atena e Pandroso, per Gea Temide, per Ilitia, per Demetra e Kore, e per le feste epidaurie. Secondo il filologo Ludwig Deubner, i due eventi della discesa e della risalita avvenivano in periodi diversi: il primo avrebbe avuto svolgimento a giugno-luglio e sarebbe consistito in un dono alla Dea per ottenere fecondità, mentre il secondo sarebbe da collocarsi in autunno, stagione legata alla discesa nel mondo sotterraneo e alla morte 5.
Nella fiaba di Biancaneve ad esempio, la madre sta cucendo presso un mobile di ebano, si punge un dito e tre gocce di sangue cadono sulla neve. Essa dice che allora il figlio che avrebbe dato alla luce avrebbe portato tre colori ovvero il bianco come la neve, il rosso come il sangue e il nero come l’ebano, gli stessi che si ritrovano nel mito irlandese di Deirdre. La sequenza dei colori rimanda analogicamente alle tre fasi dell’Opera alchemica, ossia la Nigredo, Albedo e Rubedo, il percorso iniziatico di trasformazione interiore. In Biancaneve, la fanciulla si allontana dalla casa paterna a causa della malevolenza della madre / matrigna all’età di sette anni, compiendo così il primo passo per un viaggio iniziatico femminile all’interno della comunità. L’uccisione e il consumo delle parti del cinghiale da parte della madre / matrigna di Biancaneve è la trasposizione dell’uccisione simbolica dell’inizianda mediante il sacrificio sostitutivo di un animale, le cui carni vengono consumate dagli officianti del rito. La sostituzione di Biancaneve con un cinghialetto, uscito dai cespugli del bosco all’improvviso innanzi al cacciatore, si mette in relazione con la tradizione celtica e con il significato simbolico dell’animale 6. Il cinghiale per i Celti è un animale dalla simbologia assai complessa, connessa alla saggezza, conoscenza, guarigione, verità e lealtà; messaggero fra il Mondo Sotterraneo e quello umano, è la rappresentazione della classe sacerdotale druidica. Inoltre il cinghiale è portatore di fertilità e fecondità, simbolo della Dea Madre, la Natura divina della terra legata al ciclo lunare, ma è anche legato al ciclo solare, alle Divinità maschili, alla frenesia riproduttiva e all’aggressività dei guerrieri. Diventa quindi simbolo di abbondanza, nutrimento, ospitalità, festeggiamenti e riunioni sociali, fertilità, salute e protezione dal pericolo, potere e vitalità 7. Nel mito di Deirdre invece, il vecchio custode uccide un cerbiatto come sacrificio rituale, uno spirito animale associato alla Dea Madre, al culto della fertilità, alla rinascita e alla casta druidica. I cervi erano considerati dai Celti come spiriti intermediari fra il mondo degli dei e il mondo degli uomini, messaggeri e guide verso l’ Altromondo 8. Come ogni inizianda, Biancaneve vaga nella foresta in cerca di se stessa, dimora del Signore degli Animali, degli Spiriti della Natura e degli Antenati. Stanca ed affamata, la fanciulla trova la casina dei Sette Nani, un luogo ctonio dove l’inizianda dovrà restare in isolamento per un lungo periodo, esattamente come Deirdre nella fortezza e le Arrefore nell’Acropoli di Atene.
Per Biancaneve inizia il periodo di apprendistato nelle arti domestiche come futura moglie e donna nella casa dei nani. I Sette Nani lavorano tutto il giorno e tornano a casa solo al calar del Sole, e durante il giorno cercano metalli preziosi nelle gallerie del sottosuolo. I nani sono spiriti della Terra e rappresentazione degli Antenati del Clan. Esattamente come un’inizianda che si trova dentro ad una capanna, Biancaneve viene posta sotto la protezione degli Antenati che la guidano verso il suo percorso iniziatico. Infine, la fiaba narra della morte di Biancaneve a causa di una mela avvelenata donatale dalla madre / matrigna travestita da contadina: qui avviene un’altra morte rituale che segna un altro passaggio fondamentale nel cammino spirituale dell’inizianda (un grado superiore a quello delle arrefore). La mela avvelenata fa cadere l’inizianda in uno stato alterato di coscienza, un profondo sonno, confermando l’uso durante i rituali iniziatici primitivi di una sostanza allucinogena e psicotropa come il fungo Amanita Muscaria o una mela fermentata. In questo modo, lo spirito dell’inizianda può volare via dal corpo e incontrare gli spiriti e gli Antenati nel Mondo Spirituale. Al risveglio – rinascita, l’inizianda Biancaneve è finalmente ammessa nella comunità come membro adulto e come donna capace di dare la vita 9.
In conclusione, la fiaba di Biancaneve e il mito celtico di Deirdre nascondono nelle loro trame profondi segreti iniziatici primitivi connessi al mondo femminile e al potere della Grande Madre.
1 Grimm, J. e W. (1993). Fiabe del focolare. Milano: CDE.
2 Monaghan, P. (2004). The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore. New York: Facts On File, p. 122.
3 Per maggiori approfondimenti vedi: Brelich, A. (2008). Le iniziazioni (E. riuniti U. Press, ed.).
4 Arreforie. Wikipedia, L’enciclopedia libera, https://it.wikipedia.org/wiki/Arreforie (ultima visita 14/06/2021).
5 ARREFORIE. Enciclopedia Italiana, https://www.treccani.it/enciclopedia/arreforie-o-erreforie_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultima visita 14/06/2021).
6 Calvetti, A. (1987). TRACCE DI RITI INIZIATICI FEMMINILI NELLE FIABE DELL’ORSA, DI PELLE D’ASINO E DI BIANCANEVE. Lares, 53(1), 111-124. Retrieved June 14, 2021, http://www.jstor.org/stable/44630337
7 Taraglio, R. (2005). Il vischio e la quercia : la spiritualità celtica nell’Europa druidica (Nuova). Torino: L’età dell’acquario, p. 344.
8 Ivi, pp. 340 – 342.
9 Calvetti, A. (1987). TRACCE DI RITI INIZIATICI FEMMINILI NELLE FIABE DELL’ORSA, DI PELLE D’ASINO E DI BIANCANEVE. Lares, 53(1), 111-124. Retrieved June 14, 2021, http://www.jstor.org/stable/44630337
Bibliografia
Brelich, A. (2008). Le iniziazioni (E. riuniti U. Press, ed.).
Eliade, M. (2020). La nascita mistica: riti e simboli d’iniziazione. Brescia: Morcelliana.
Grimm, J. e W. (1993). Fiabe del focolare. Milano: CDE.
Monaghan, P. (2004). The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore. New York: Facts On File.
Wasson, G. (1968). Soma: divine mushroom of immortality. New York: Harcourt, Brace & World.
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