Corpo spirituale e Terra celeste: dall’Iran mazdeo all’Iran sciita – Henry Corbin
Corpo spirituale e Terra celeste: dall’Iran mazdeo all’Iran sciita – Henry Corbin (1986). Milano: Adelphi Edizioni, 335 p., \3! c. di tav. : ill. ; 24 cm.
Quando apparve nella sua prima versione (1960), questo libro suonava come un tentativo sconcertante di collegare e articolare categorie del remoto Iran mazdeo, cifrate e ostiche, con altre dello sciismo, di cui ben poco si sapeva. Oggi si può dire di Corpo spirituale e Terra celeste che è stato un vero punto di partenza, ma non già soltanto per l’audacia della prospettiva storica. Essenziale è qui l’elaborarsi di una concezione dell’immaginazione a cui poi molti hanno attinto, per la sua grandiosità e perspicuità. Qui si traccia per la prima volta una «carta dell’Immaginale». Per intendere la novità dell’impresa, basti pensare che la parola stessa «immaginale» è stata introdotta da Corbin. E di una parola nuova c’era davvero bisogno da quando, in Occidente, «tra le percezioni sensibili e le intuizioni o le categorie dell’intelletto il luogo era rimasto vuoto». Si trattava appunto del luogo della Imaginatio vera dell’alchimia, della immaginazione attiva, di quell’«intermondo tra il sensibile e l’intelligibile» la cui «scomparsa porta con sé una catastrofe dello Spirito». Quel luogo della conoscenza, e di una conoscenza a noi preclusa, è l’«ottavo clima» dove appaiono le città mistiche di Jābalqā, Jābarsā e Hūrqalyā. Nessuna civiltà è stata pari a quella iranica nello sviluppare questa «geografia immaginale». Dai mirabili paesaggi, puri archetipi di una natura visionaria, sino alle pagine esaltanti di Sohravardī o di Mollā Sadrā, l’Iran ci ha offerto la guida più dettagliata alla «Terra di Hūrqalya», «mondo attraverso cui si corporizzano gli spiriti e si spiritualizzano i corpi», luogo della realtà epifanica. Sino a questo libro di Corbin ben poco era filtrato di tali tesori – e la seconda parte dell’opera ci offre anche una doviziosa antologia di testi iranici su questi temi, per la prima volta tradotti. Ma l’effetto sovvertitore di Corpo spirituale nel suo insieme è dovuto non soltanto alla novità dei materiali. Qui assistiamo, innanzitutto, al dispiegarsi della prospettiva di Corbin. L’autore stesso la definiva «fenomenologica», in contrasto con ogni storicismo. Ma, più che a termini occidentali, occorrerebbe riferirsi, per definire il procedimento di Corbin, a quella «ermeneutica per eccellenza indicata dalla parola ta’wīl, che letteralmente significa “ricondurre una cosa alla sua fonte”, al suo archetipo, alla sua realtà vera». Qui il ta’w īl è al tempo stesso l’oggetto del libro e il metodo del suo autore, come anche dovrebbe diventare il percorso di ogni lettore. Così ci avvicineremo finalmente all’Albero dell’Immaginazione, di cui dice il Corano che può essere «l’Albero benedetto» o «l’Albero maledetto». «L’immaginario può essere innocuo; l’immaginale non lo è mai».
Henry Corbin (Parigi, 14 aprile 1903 – Parigi, 7 ottobre 1978) è stato un filosofo, orientalista e storico delle religioni. Con la sua originale riscoperta della tradizione irano-islamica, ha profondamente influenzato il pensiero contemporaneo. A lui si deve, tra l’altro, l’elaborazione del concetto di mundus imaginalis. Allievo di Étienne Gilson e di Jean Baruzi, fu iniziato alla teosofia orientale da Louis Massignon, che orientò la sua vocazione filosofica verso lo studio dell’Islam iranico e della gnosi sh ’ita. Tradusse e pubblicò i più grandi classici legati a queste tradizioni. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: Histoire de la philosophie islamique (Storia della filosofia islamica. Dalle origini ai giorni nostri, Milano 1991), Corps spirituel et Terre céleste (Corpo spirituale e terra celeste, Milano 2002) L’Imagination créatrice dans le soufisme d’Ibn’Arab (L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, Roma-Bari 2005) e Temple et contemplation (L’immagine del tempio, Milano 2010). Per Mimesis è in corso di traduzione la sua grande summa, in quattro volumi, En Islam iranien.
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