Il Daimon e il concetto di reincarnazione in Antica Grecia
Il Daimon e il concetto di reincarnazione in Antica Grecia
di Hasan Andrea Abou Saida
La credenza che l’anima si possa reincarnare molte volte in altrettanti corpi non è unicamente esclusiva dei culti e filosofie orientali, ma è stata presente in antichità anche nel continente europeo e nella tradizione esoterica occidentale. In particolar modo, la credenza della trasmigrazione plurima dell’anima, chiamata metempsicosi, era ampiamente diffusa nei culti iniziatici ellenici e veniva tramandata soprattutto tra i seguaci dei misteri orfici, rivelati dal sommo poeta Orfeo dopo esser tornato dal suo viaggio negli Inferi.
Essenziale per l’orfismo è la concezione del corpo e della sua necessità di trasmigrare finché non raggiunge la perfezione secondo le regole di vita rese comprensibili dallo stesso culto. L’anima, che i greci chiamavano δαίμωνe che risiedeva nei cieli, compie un peccato e cade dal regno dei cieli sulla terra reincarnandosi in un corpo, che utilizza per espiare la propria colpa. Alla morte, il δαίμων trasmigra e si ricompone in un altro corpo che può anche non essere quello di un essere umano in base alla scelte fatte in vita.
Nella mitologia greca, il δαίμων è una entità che ha natura intermedia tra gli dei e gli uomini, che contribuisce a superare la divisione tra loro, mettendoli in comunicazione. Di etimologia incerta, il termine è forse legato al verbo daiomai, che significa “spartire”, “distribuire”, col significato di colui che “distribuisce, o assegna, il destino”. Il δαίμων quindi è il portatore della divinità potenziale dell’uomo, ma anche della sua colpevolezza, il suo Destino.
Attraverso la necessità per l’anima di purificarsi attraverso la trasmigrazione in molte vite numerose volte, l’obbiettivo dell’orfismo è quello di raggiungere l’illuminazione finale e il ritorno alla sua “essenza primitiva”.
Secondo il filologo e antropologo irlandese Eric Dodds, anche i più antichi sciamani greci, quei saggi conosciuti come maghi, guaritori e profeti quali erano Epimenide, Empedocle e Pitagora condividevano questa conoscenza della trasmigrazione dell’anima. Fu soltanto quando la reincarnazione si affermò come destino di tutte le anime che ad essa si legò quella visione di colpa, di punizione 1.
Il filosofo Empedocle (VI – V secolo a.C.) fa una distinzione tra la ψυχή, il calore vitale che, al sopravvenire della morte, veniva riassorbito dall’elemento igneo da cui traeva origine, e il δαίμων, una sorta di “io occulto” che persisteva attraverso le diverse reincarnazioni. Mentre le percezioni e il pensiero venivano determinati in modo meccanico dalla ψυχή, il δαίμων era il portatore della divinità potenziale dell’uomo, ma anche della sua colpevolezza 2.
Discepolo di Pitagora ed iniziato alle dottrine orfiche, Empedocle condanna i sacrifici rituali animali poiché, secondo la tradizione orfica, portano l’uomo a retrocedere nella sua evoluzione spirituale ed a trasmigrare in forme animali. Secondo Empedocle infatti, l’uomo è un dio decaduto nella materia per aver trasgredito le leggi morali e fisiche della Natura. In un frammento tratto dalle Purificazioni (D-K 31 B 115), egli dice:
“E’ vaticinio di Necessità, antico decreto degli Dei, eterno, sigillato da ampi giuramenti: se qualcuno, per suo errore, contamina di sangue le sue membra, o dopo aver sbagliato per opera di Contesa giura il falso, costoro, come daimones, che hanno avuto in sorte une vita longeva, per tre volte diecimila stagioni vadano errando lontano dai Beati, rinascendo nel corso del tempo in molteplici forme mortali, permutando i travagli sentieri della vita. Perché la forza dei venti li caccia nel mare e il mare li risputa sul dorso della terra, e la terra contro i raggi del Sole rifulgente, e il sole ancora nei vortici dell’etere: l’uno li riceve dall’altro, ma li odiano tutti. E anch’io adesso sono uno di costoro, esule dagli dei ed errante, per aver confidato nella folle Contesa.”
Il concetto della trasmigrazione inoltre è ribadito anche in questi frammenti:
– Da quale rango, da quale culmine di felicità (fr. 123);
– giungemmo sotto quest’antro coperto (fr. 124);
– Piansi e gemetti, vedendo un luogo estraneo (fr. 125);
– Terra che cinge i mortali (fr. 126);
– Rivestendoli con una tunica di carni ad esse sconosciuta (fr. 127);
– Ahimé, o stirpe infelice dei mortali, o due volte sventurata, da quali contese, da quali gemiti nasceste! (fr. 131);
– Fuori di senno per gravi cattiverie, non libererete mai l’animo da angosce tormentose (fr. 140);
Perché già una volta io fui fanciullo e fanciulla
e arbusto e uccello
e pesce muto che guizza fuori dal mare (fr. 142) 3.
Con una profonda nostalgia verso la condizione di felicità eterna preincarnativa, la Caduta (ptoma) nella materia è vista dall’orfismo come una condanna, un “qui ed ora” in un luogo estraneo che non ci appartiene. L’unica speranza è la progressiva uscita dal Dinos, il Vortice, spezzando il continuo ciclo reincarnativo e ritornando nell’Isola dei Beati.
Ma tra i primi a promulgare e a rendere popolare la nozione delle trasmigrazioni successive dell’anima è stato senza dubbio Pitagora e la sua scuola. Originario del Medio Oriente, questo filosofo matematico venne a conoscenza della reincarnazione non solo tramite i suoi viaggi in Egitto, in Mesopotamia e nelle Indie, ma anche per conoscenza diretta attraverso i ricordi delle sue vite passate. La conferma del fatto che Pitagora fu uno dei primi a promuovere il concetto di reincarnazione tra i Greci è data dallo storico greco Diogene Laerzio in quanto scrive:
«Si narra che Pitagora sia stato il primo presso i greci ad insegnare che l’anima deve passare per il cerchio delle necessità e che veniva legata in vari tempi a diversi corpi viventi… 4»
Inoltre, Erodoto afferma che gli insegnamenti sulla trasmigrazione dell’anima trasmessi ai greci provenivano dall’Egitto:
“Gli Egiziani furono i primi a sostenere che l’anima è immortale e che trasmigra, perito il corpo, in un altro essere vivente, che sta nascendo a sua volta; dopo essere passata attraverso tutti gli animali terrestri e acquatici, e alati, l’anima trasmigrerebbe nuovamente nel corpo di un uomo: il ciclo si compierebbe nell’arco di tremila anni. Questa teoria fu poi ripresa da alcuni Greci, in varie epoche, come se si fosse trattato di una loro scoperta: io ne conosco i nomi, ma non li scrivo. 5“
Eraclide Pontico, un filosofo greco vissuto nel IV sec. a.c. e discepolo di Pitagora, affermò che gli dei avevano permesso a Pitagora di conservare il ricordo delle sue incarnazioni precedenti. Secondo le cronache, in occasione della visita di Pitagora all’Heraion di Argo, aveva identificato come suo uno scudo appartenuto ad Euforbo, figlio di Pantoo, che questi portava quando fu ucciso da Menelao sotto le mura di Troia. Secondo l’autore Eraclide, Pitagora sosteneva che, prima di diventare Euforbo, egli era stato Etalide, figlio di Hermes ed araldo degli Argonauti, e aveva ottenuto dal padre divino il privilegio di ricordare la sua vita, sia sulla terra in altre incarnazioni che nell’Ade. Dopo la sua vita da Euforbo, era divenuto Ermotimo, e successivamente Pirro, un pescatore di Delo, e quindi Pitagora 6.
Secondo lo studioso svizzero Christoph Riedweg, filologo classico e specialista di Pitagora, il divieto delle fave, oltre alla sua interpretazione “totemistica”, sanitaria e analogica, è da rapportarsi alla dottrina della rinascita delle anime 7, è attestato sia in un verso attribuito ad Orfeo, la figura simbolo a cui fanno capo i Misteri orfici, citato da Eraclide Pontico che lo riferisce a Pitagora («È uguale mangiare fave e mangiare le teste dei propri genitori»), sia in un frammento di Empedocle che condivide la dottrina della trasmigrazione delle anime («Sciagurati, assolutamente sciagurati, tenete lontane le vostre mani dalle fave») che ritornano sulla terra proprio durante le fioritura delle fave, quando «vengono alla luce dalle dimore dell’Ade». Molte proibizioni pitagoriche dunque, come l’astenersi dal cibarsi di esseri viventi, sono sempre da ricollegare a dei tabù di carattere totemico e sulla trasmigrazione delle anime.
Nei “Dialoghi” di Platone, grande iniziato e filosofo del V sec. a.C., viene associata l’immortalità dell’anima alla sua capacità di trasmigrazione in molti esseri viventi. Coloro i quali non sono riusciti a liberarsi dei fardelli materiali non posso ascendere ai piani spirituali superiori più puri e perciò vengono trascinati verso il basso nel mondo visibile, imprigionati in un altro corpo 8.
Nel mito di Er l’Armeno, un racconto descritto sempre da Platone nel suo “Repubblica”, il filosofo fornisce una descrizione specifica sul post mortem e sulla reincarnazione come atto di un destino immutabile e scelto dalla stessa anima. La storia narra di un guerriero valoroso della Panfilia di nome Er, caduto in battaglia. Dopo dodici giorni dalla morte, il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo per essere bruciato, ma poco prima che gli diano fuoco, il giovane si risveglia e racconta ciò che ha visto nell’aldilà. Un volta uscito dal corpo, il guerriero si era messo in cammino con molte altre anime verso quattro passaggi, attraverso i quali le anime salivano in dimensioni paradisiache oppure scendevano sottoterra a seconda delle buone o cattive azioni durante la loro vita. La permanenza in questi luoghi però è temporanea, con una durata di circa mille anni per ogni anima. Dopo sette giorni di permanenza in quel luogo, Er insieme ad altre anime vennero fatte camminare per quattro giorni, finché non giunsero davanti al fuso di Ananke, il fuso della necessità e l’asse delle sfere celesti che determina i destini degli uomini. Sotto al fuso apparvero le tre Moirai, figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l’avvenire. Al cospetto di Lachesi, ogni anima sceglierà il proprio δαίμων, non dettato dalla sorte, ma dalla libera scelta. Le tre Moirai sorteggiano l’ordine di scelta delle anime, dove viene proposta ad ogni anima una grandissima quantità di paradigmi di vita: vite di animali, di uomini, di donne, di tiranni, di successo o fallimentari, di persone oscure o insigni. Saper scegliere una vita è fondamentale per la felicità e il benessere sulla terra. Al termine della giornata, le anime si accampano sulla riva del fiume Lete per berne le acque e dimenticare. Infine a mezzanotte, con un terremoto, le anime vengono lanciate nel vortice della rinascita 9.
La nostra felicità in questa vita non dipende unicamente dal δαίμων che presiede il nostro destino, ma solo dalla nostra libera scelta di un buon δαίμων, al fine di poter trasformare noi stessi e cambiare la nostra Vita e il nostro Destino.
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1 Per maggiori approfondimenti vedi: Dodds, E. R. (2015). I greci e l’irrazionale. Milano: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli.
2 Per maggiori approfondimenti vedi: Kingsley, P. (2008). Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica. Milano: Mondolibri.
3 Per maggiori approfondimenti vedi: Empedocle. (1994). Il poema delle purificazioni. Alpignano: Tallone.
4 Bratina E. (1972). Vite e dottrine dei filosofi, La Reincarnazione, documentata dalla religione, filosofia e scienza. Trieste: ETI, pag. 27.
5 Bertholet, E. (1994). La reincarnazione nel mondo antico. Vol. 1. Roma: Edizioni Mediterranee, pag. 162.
6 Per maggiori approfondimenti vedi: Dionege Laerzio, Vite dei filosofi, Libro VIII, Pitagora – http://lamelagrana.net/wp-content/uploads/downloads/2012/03/Diogene-Laerzio-Vite-dei-filosofi-Libro-VIII-Pitagora.pdf (ultima visita 04/06/2020).
7 Riedweg, C. (2007). Pitagora: vita, dottrina e influenza. Milano: Vita e Pensiero, pag. 20.
8 Per maggiori approfondimenti vedi: Platone (2001). Tutti gli scritti. A cura di Giovanni Reale. Milano: Bompiani.
9 Ivi, pagg. 1322 – 1328.
Bibliografia
Bertholet, E. (1994). La reincarnazione nel mondo antico. Vol. 1. Roma: Edizioni Mediterranee.
Bratina, E. (1972). Vite e dottrine dei filosofi, La Reincarnazione, documentata dalla religione, filosofia e scienza. Firenze: ETI.
Dodds, E. R. (2015). I greci e l’irrazionale. Milano: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli.
Empedocle. (1994). Il poema delle purificazioni. Alpignano: Tallone.
Kingsley, P. (2008). Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica. Milano: Mondolibri.
Mallinger, J. (1987). Pitagora e i misteri. Roma: Atanòr.
Platone (2001). Tutti gli scritti. A cura di Giovanni Reale. Milano: Bompiani.
Riedweg, C. (2007). Pitagora: vita, dottrina e influenza. Milano: Vita e Pensiero.